News - La Tosca alla Scala di Milano

La Tosca alla Scala di Milano
15 febbraio 2011 - Il melodramma in tre atti di Giacomo Puccini su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, va in scena fino al 25 marzo sul palcoscenico del Teatro alla Scala di Milano.

La TOSCA di Giacomo Puccini alla Scala di Milano

L’opera in breve
di Emilio SalaTosca di Giacomo Puccini

dal programma di sala del Teatro alla Scala


Tosca venne rappresentata per la prima volta nel 1900 (Roma, Teatro Costanzi), sicché la sua posizione storica – sul crinale del nuovo secolo – appare oltremodo simbolica. In quest’opera, tratta dall’omonimo dramma di Victorien Sardou (che Puccini vide interpretato da Sarah Bernhardt), il compositore lucchese spinge risolutamente verso un tipo di sperimentazione che giustifica l’ammirazione provata per Tosca da musicisti d’avanguardia come Arnold Schönberg e Alban Berg. Eppure, in questo capolavoro, la critica vide fino a non molto tempo fa (con ben poche eccezioni) un melodrammone tutto effetti (o effettacci) e sentimentalismo a buon mercato. (Si sa, il successo popolare è guardato con estremo  sospetto dai critici modernisti.) Non che manchino le suggestioni veriste: si vedano ad esempio le campane e lo stornello del pastore che aprono il terzo atto. Così come non mancano i richiami al melodramma parascapigliato: il morboso legame fra Tosca e Scarpia sembra infatti esemplato (il rilievo è di Michele Girardi) su quello che unisce soprano e baritono nella Gioconda di Ponchielli-Boito (a partire dallo status professionale delle due coppie di personaggi: Gioconda è una “cantante girovaga”, Tosca una cantante lirica, Barnaba una spia corrotta, il barone Scarpia il comandante della polizia segreta). Ma la violenza dei contrasti, l’unione di fede oppressiva e autoritarismo incombente, erotismo e sadismo (si pensi alla fine del secondo atto, da «Questo è il bacio di Tosca!» a «E avanti a lui tremava tutta Roma!»), la declamazione esasperata durante la scena della tortura, gli stessi accordi di Scarpia così esplosivi e brutali – insomma, tutto ciò sembra avere più a che fare con un espressionismo ante litteram che non con il contemporaneo verismo. Lo spiegò con la solita lucidità critica Fedele D’Amico già venticinque anni or sono: «Salome, Elektra, Wozzeck: si dovrà ben trovare il coraggio, un giorno o l’altro, di nominare Tosca nella lista; cronologicamente verrebbe al primo posto». D’altra parte, lungi dall’essere (come qualcuno ancora crede) un coacervo di momenti musicali più o meno pregnanti sullo sfondo di un’ambientazione superficialmente bozzettistica, il linguaggio musico-drammatico di Tosca appare davvero coerente e compatto. Certo, spiccano le “romanze” emotivamente intensissime e tutto sommato isolabili dal flusso drammatico: «Vissi d’arte», «E lucevan le stelle» ecc. Ma l’attenzione posta da Puccini sulla continuità dell’azione è tale che egli fu tentato fino all’ultimo di sacrificare la preghiera di Tosca in quanto momento troppo lirico-contemplativo.

Passando alla “posizione” dell’aria di Cavaradossi del terzo atto, assente nel dramma di Sardou, essa suscitò non a caso l’entusiasmo del vecchio Verdi che conobbe la riduzione di Illica nel 1894 a Parigi. Comunque sia è l’intrecciarsi dei motivi ricorrenti e delle cellule tematiche che garantisce – sul versante musicale – la compattezza di cui si diceva. Un tessuto leitmotivico che raggiunge in Tosca una coesione del tutto inedita nel panorama dell’opera italiana. E che ha fatto storcere il naso a molti critici per i quali si tratta comunque di un’applicazione esteriore e superficiale della tecnica wagneriana. Perfino Mosco Carner parla di Leitmotive adoperati «senza rigore né coerenza, anche se con mirabile istinto drammatico». Ma – al contrario – credo che l’assimilazione-personalizzazione pucciniana della tecnica leitmotivica possa essere paragonata a quella di altri compositori della sua generazione, in primis Debussy e Richard Strauss. Si prenda il caso del motivo di Scarpia, ossia i tre accordi già citati che aprono l’opera e che vengono ripresi innumerevoli volte durante il suo corso.

La forza e la violenza di tale motivo – ulteriormente accentuate dall’intervallo di quinta diminuita (il diabolus in musica) tra le fondamentali del primo e dell’ultimo accordo (si bemolle-mi bequadro) – hanno qualcosa di plateale e di iperbolico, sia pure. Ma lo spessore drammatico di quel gesto sonoro così enfatico è a ben guardare tutt’altro che da sottovalutare. Com’è stato fatto notare, i tre accordi sono improntati a una sorta di modalismo pseudoecclesiastico che associa il personaggio di Scarpia al potere papale, la sua ansia perversa al controllo poliziesco-clericale incombente su tutta l’opera. Quando il motivo di Scarpia riappare, dopo la sua morte, alla fine dell’introduzione orchestrale del terzo atto (in un piano abbastanza sinistro), il significato drammatico appare evidente: il potere di Scarpia, come un’ossessione disincarnata, aleggia ancora nell’aria. In conclusione, a Puccini (come a Strauss) riesce una sorta di miracolo: la sperimentazione e l’aggiornamento linguistico, così importanti da Tosca a Turandot, si fondono mirabilmente con l’immediatezza e l’efficacia comunicativa del modello melodrammatico (guardato sempre più in cagnesco dal “teatro moderno”). Una strada che nessuno dei compositori della generazione successiva (quella cosiddetta dell’Ottanta) sarebbe stato più in grado di percorrere.

 INFORMAZIONI SUGLI SPETTACOLI

Omer Meir Wellber - direttore

Considerato uno dei giovani direttori d’orchestra emergenti, Residence Conductor sia della Israeli Opera sia della Raanana Symphonette Orchestra, inizia a studiare musica a 5 anni (violino, fisarmonica e pianoforte). A 10 anni si avvicina allo studio della composizione con Tania Taler e successivamente, fino al 2004, col compositore israeliano Michael Wolpe. Nel 1999 consegue il diploma al Beer Sheva Conservatory. Tra le sue composizioni si contano: la Suite per archi, fagotto e clarinetto, il Concerto per pianoforte n. 1 e il Concerto per mandolino eseguiti dalla Israeli Sinfonietta; tra le composizioni cameristiche, Musica per dieci strumenti (eseguita dall’ensemble “Kaprisma” durante una tournée europea), Quintetto per oboe “The Last Leaf  (ensemble “Musica Nuova”) e Trio per pianoforte e fisarmonica (ensemble “Amber Trio di Vienna”, lo stesso Meir Wellber solista di fisarmonica). Nel dicembre 2004 ha diretto la ‘prima mondiale’ del suo Concerto per viola, con la Israel Chamber Orchestra e la viola solista Amichar Grosz (The Jerusalem Quartet).
Diplomato nella classe di Mendi Rodan alla Jerusalem Music Academy (dove ha studiato dapprima con Eugen Zirlin), ha diretto la Israeli Sinfonietta, la Israel Chamber Orchestra, la Jerusalem Symphony Orchestra, la Haifa Symphony Orchestra, la Israel Symphony Orchestra of Rishon Le’Zion e ha affrontato una decina di ‘prime’ di musica israeliana e di musica contemporanea.
Negli ultimi cinque anni, ha ricevuto il “full scholarship for excelled musicians” dalla America-Israel Cultural Foundation.
Tra i titoli d’opera da lui diretti: La traviata, La forza del destino e Il trovatore di Verdi, Turandot e Madama Butterfly di Puccini, La Gioconda di Ponchielli, L’elisir d’amore di Donizetti e Così fan tutte di Mozart (Israeli Opera); Die Zauberflöte di Mozart e Un ballo in maschera di Verdi (stagione 2005-06, New Israeli Opera di Tel Aviv); Wozzeck di Berg (febbraio 2005, Israeli Opera, come secondo assistente del direttore Asher Fisch); Aida di Verdi (ottobre 2008, Teatro Verdi di Padova, scelto da “Classic Voice Magazine” quale uno dei “2008 surprise artists”).
Nel febbraio 2007 a Pechino ha diretto un concerto di gala con l’Orchestra Filarmonica della città e nel settembre 2008 un concerto speciale per il 60° anniversario di Israele. Il violinista Shlomo Mintz si è esibito assieme allo stesso Wellber  con l’Orchestra Sinfonica di Istanbul e con la Raanana Symphonette. Nell’ultima stagione ha diretto Mefistofele di Boito e La volpe astuta di Janáček alla Israeli Opera di Tel Aviv, è stato assistente di Daniel Barenboim alla Staatsoper di Berlino e al Teatro alla Scala, ha diretto Aida con l’Orchestra della Scala alla Israeli Opera di Tel Aviv, Tosca di Puccini alla Staatsoper di Berlino, nonché concerti sinfonici a Verona e al Teatro La Fenice di Venezia. Ha diretto: una nuova produzione di Daphne di R. Strauss alla Semperoper di Dresda, tre nuove produzioni verdiane (Il trovatore, Rigoletto e La traviata) alle Festwochen di Vienna, Werther di Massenet, Aida, Evgenij Onegin di Čajkovskij, Mefistofele a Valencia, Carmen di Bizet e Tosca al Teatro Massimo di Palermo, nonché concerti sinfonici con la Israel Philharmonic Orchestra, l’Orchestre de Paris, l’Orchestra RAI di Torino, l’Orchestra di Santa Cecilia a Roma, l’Orchestra del Teatro La Fenice, la Filarmonica della Scala e l’Orchestra Nazionale della Russia.