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Carmelo Zotti - Antologica
9 gennaio 2007 - La Permanente di Milano propone una vasta antologica di Carmelo Zotti, uno dei casi più singolari e fervidi della figurazione italiana del secondo dopoguerra.

Oltre cento le opere del maestro riunite per questa grande rassegna, opere esemplificative di tutti i periodi della sua attività. La mostra, curata da Flaminio Gualdoni e Dino Marangon, è stata promossa da “Euromobil per la cultura”, il gruppo trevigiano che in questi mesi è presente, come main sponsor, nelle mostre bresciane Di Turner e di Mondrian al Museo di Santa Giulia e ad Arte Bologna 2007.

Cresciuto alla scuola veneziana di Bruno Saetti nella Venezia degli anni Cinquanta, vicino dapprima al clima informale, Zotti matura nel confronto/scontro con la Pop, affermatasi alla Biennale di Venezia nello stesso 1964 che vede una sua fondamentale presenza.

Una pittura, la sua, a forte componente narrativa non lontana dai riferimenti al “nuovo racconto” italiano e a maestri internazionali come Rafael Canogar e Alan Davie, Wols e Pierre Alechinsky, Graham Sutherland e Philip Martin.
Tale atteggiamento si nutre dello studio del clima sospeso e onirico metafisico/surreale, e dell’iconografia straniata della grande arte centroamericana e indiana, dalle quali Zotti estrapola il proprio tipicissimo repertorio iconografico.

Scrive Flaminio Gualdoni nel saggio introduttivo: “La mano, la sfinge, l’elefante, la piramide, il magrittiano rubinetto/fallo, la mummia, l’angelo, e poi Salomé e Giuditta, Lazzaro e Orfeo, Venere e Cleopatra, Ganesha e Mosè… Più saviniano che dechirichiano appare in questi anni Settanta l’approccio di Zotti (e ben lo ha ribadito Enzo Di Martino, scrivendone nel 1995), per quel suo evitare la cristallizzazione lucida della visione in favore di un sentimento più oscuro e mutante dell’immagine, e soprattutto per una meno esibita, ma non meno retoricamente padroneggiata, teatralità”.

Negli ultimi anni la sua pittura, ha scritto Dino Marangon, si apre a “una più sensibile e immanente modulazione delle luci, dei timbri e delle tonalità cromatiche” e a “una più viva attenzione per la delineazione della consistenza plastica delle figure”. In altri termini, non l’iconografia mitica vi è dominante, ma la sua capacità di metabolizzarsi nell’esperienza della pittura e della vita, posto che i due termini siano per Zotti effettivamente distinguibili.

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